"L'universo vive": il testo di Youssef Marzullo
Si potrà dire che l'uomo è un gran ficcanaso o si potrà esaltare il suo continuo anelito a conoscere la ragione di tutto quel che lo circonda, resta comunque il fatto che mai egli si è accontentato di guardare l'universo e di accettarlo come una realtà immutabile ed eterna. Collocatosi al centro dell'universo, egli ha cominciato a misurare le cose sulla sia misura di essere finito nello spazio e vivente nel tempo. Perciò, pur comprendendo che le dimensioni dell'universo erano enormemente superiori alle proprie e persino a quelle della terra su cui viveva, l'uomo ha da millenni pensato che anche l'universo doveva avere avuto un suo atto di nascita e, perciò stesso, un genitore, un creatore, un ordinatore, un plasmatore. Più difficile gli è stato giungere all'idea che dopo la nascita anche i corpi celesti potessero avere una loro vita e una loro morte. Fredde e lontane, le stelle gli sono sembrate a lungo il simbolo dell'eternità, indifferenti alle vicende umane perchè aliene ai drammi della vita e della morte. Poi, man mano che le sue conoscenze sono progredite, l'uomo ha capito che nulla resta immobile, ma che anzi gli astri sono protagonisti di vicende cosmiche violente, che se giungono a noi attutite dall'immenso spazio, non per questo sono meno tragiche e, al tempo stesso, affascinanti. L'universo dunque vive, e la sua vita è densa di misteri e di segreti.