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"La promessa": il testo del poeta irpino Roberto Lombardi

A volte, nonostante i grandi mezzi che abbiamo oggi, le connessioni che ci uniscono, ci sono delle storie che restano sotto la cenere di un camino, di una sigaretta, di una lontananza che ci tormenta e ci fa vivere allo stesso tempo, che nonostante tutto non conosciamo: e finchè non lo conosciamo ci sembrerà troppo lontano…


LA PROMESSA



Ad agosto, a Monteforte Irpino, c’erano quaranta gradi e la strada da un marciapiede all’altro, sembrava come in un gran premio di formula uno, dove le onde di calore illudono i sensi.

In paese la gente passeggiava poco, senza rinunciare al caffè al bar, alle chiacchiere e alla messa, tutti con un ventaglio o almeno un fazzoletto, a darsi manforte aspettando la sera, quando i lampioni illuminavano l’estate e si poteva respirare. 

Nel frattempo, durante il giorno, i carabinieri e quei pochi segretari del comune sbrigavano faccende su per la piazza giù per via Nazionale, che collegava il paese a Napoli, salendo, e ad Avellino, andando verso sud, guardando il cielo limpido e un camino acceso, che sbuffava fumo come una pipa.

Il maresciallo era arrivato a prendere servizio a una settimana, ma, fra le varie urgenze, solo quella mattina aveva notato il fattaccio.

Chiedendo informazioni ebbe a sentirsi dire mille e mille volte, da tutti, che il vecchio Sola faceva così da anni, ormai non ci si faceva più caso: era il camino di un paesano ormai oltre la sessantina, veniva acceso, sempre, permanentemente, senza sosta.

Meravigliato, il maresciallo Ioppio immediatamente, incuriosito, invano provò a farsi dare una spiegazione, perché nessuno sapeva o se sapeva, diceva – E’ una promessa-

Gli fu raccontato che prima gli amici, con gentilezza fecero di tutto per far capire a Sola la follia, ma niente -E’ una promessa- seguitava a dire.

Nei mesi più caldi, in realtà, il fumo e la fiamma erano flebili, quasi vacui, per ovvie ragioni, ma la brace poteva, doveva ardere lo stesso, almeno un po'.

Dopo le buone maniere degli amici, provò il parroco del paese.

-Il Signore sa, caro Alfonso- gli diceva premuroso.

-Non ho bisogno di questo- con le mani giunte non si sa a pregare chi, Sola o l’Onnipotente.

-E’ una promessa-

Da lì in poi, si passò alle cattive maniere di paese.

-‘O freddaiolo-

-Consorte r’o camino-

-‘O strano- era solo gli epiteti più sentiti, ma altri ed altri ancora ne giravano.

Sull’”’O strano”, tutti i torti non avevano: berretto militare su polo o camicia, quasi sempre blu scura e al collo la catenina del quarto regimento di Piemonte, tozzo, basso ma con due spalle da buttafuori, biondo che appena appena si vedeva, parlava poco, ma quando lo faceva, c’era da ridere, tanta la solennità, la quasi sacralità del suo tono di voce.

Diceva solo cose serie, serissime, e ci teneva molto a che tutti l’ascoltassero, anche desiderandolo, perché ci fosse silenzio quando lo si meritava.

‘O freddoloso non era così mite come sembrava perché amava la compagnia, anche se mai aveva trovato moglie. Una freddolosa , in Agosto, è difficile trovarla, ma Sola non temeva neanche  la solitudine, perché la sera, quando nessuno più voleva ascoltarlo, si ritirava dove il suo bel camino l’aspettava, e ci parlava.

-Eccomi- disse alla brace  leggermente fiaccolante

-Eccoci ragazzi. Finchè vediamo il fuoco noi siamo qui.

Mario, Gerardo, Fabio, Luca, Saverio, Enzo… sull’attenti!- faceva il saluto militare.

-Il Kosovo è lontano, come la nostra notte- si sedette sulla sedia a dondolo, dopo aver aperto una piccola finestra.

-Sono passati quindici anni da quando vi persi. Dovevamo vederci davanti al fuoco, all’accampamento.

“Finchè vediamo il fuoco, noi siamo qui” dicevi, Enzo,eh? Eccolo il fuoco. Sono come Romolo,che dall’incendio del fratello custodisce la sacra fiamma che custodì Roma, Amor. Io vi custodisco, davvero- smise di dondolare e poggiò i gomiti quasi sulle ginocchia, teso, con lo sguardo al camino.

-Eppure, nonostante la guerra, a me piaceva il Kosovo: tutte quelle foreste, poco cemento…e voi, amici, la vostra compagnia…solo io mi salvai quella notte.

Ora che sono qui, non resta che custodire il verso senso della vita : l’esserci.

Essere qui per quel tempo che ci è dato: amare, ricordare…e, a sessantacinque anni, io so ch’è l’esserci il senso.

E “Finchè vediamo il fuoco, noi siamo qui”-