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Il fuoco purificatore, l'umanità di Dante

La solennità religiosa del momento in cui Dante, vinti gli istinti e conquistata la libertà in un difficile processo di affinamento dell’anima, è in contrasto con la sottolineatura della sua debolezza tutta umana, che si riverbera nella sua esitazione ad attraversare il fuoco. Una sorta di pirofobia, un senso di terrore irretiscono il passo del poeta e lo sgomento provato assurge a testimonianza di terrena umanità, quantunque prossimo alla più alta spiritualità. L’esperienza psicologica di tale transitus per ignem, dicotomia liturgica e simbolica, riconsegna al lettore un modo di far poesia intrisa di verità e realismo, che avrà massimo sviluppo nel Paradiso. Dante rappresenta tutti gli uomini protesi al recupero dell’innocenza: bagnandosi di quel “foco che li affina” saranno degni di varcare le soglie del bosco divino. Il sorriso di Virgilio (v. 44) non è una nota idillica, ma un’espressione di autoironia di Dante sulla debolezza umana, che appartiene alla terra e che il poeta mostra di non voler perdere, rivendicando, negli snodi della sua complessa dialettica, le proprie caratteristiche di uomo. Questo è il traguardo a cui porta l’umanesimo cristiano di Dante.