Dicotomia finito-infinito in Dante
Come meglio celebrare l’anno dantesco se non rievocando l’incantevole melodia e la luce mistica che irrorano il Primo Canto del Paradiso della Divina Commedia? Seguendo una lectura dantis in chiave critico- metodologica, è possibile soffermarsi, proprio in questi versi, intorno alla cosiddetta dicotomia Finito-infinito, Uomo-Dio, topos che ritroveremo anche nel fascinoso Romanticismo. Difatti, il Romantico tenderà ad elidere la possibilità di una risoluzione che vede il Finito nell’Infinito, vissuta altresì come scacco, condizione esistenziale insanabile, languore, Sehnsucht, un desiderio del desiderio che, sebbene il recupero di una forte religiosità cristiana, non può essere quietato neppure post mortem. Diversamente, nelle pagine della Divina Commedia, Dante risolve il distacco dell’antitesi in una fiducia nell'Uomo, riflesso della fiducia in Dio, dunque un Finito che trova il suo modo d'essere solo una volta congiunto con l’Infinito: una contraddizione solo transitoria, che dura il tempo di una vita, ma ben presto sciolta nel regno ultramondano, a cui l'uomo medievale tende come saldo punto di riferimento. Dante giunge nel Paradiso per completare la sua redenzione ed incontrare finalmente Dio, termine ultimo del suo cammino di fede. Tutta la cantica risente dell'inquietudine del poeta sempre teso verso l'Assoluto, fine e completamento della sua esperienza. La quasi spasmodica attesa si manifesta perfino stilisticamente nelle terzine del Paradiso, che inizia e termina con l’iconografia Divina. Prima ancora dell'io narrativo, compare "la gloria di colui che tutto move" e solo a posteriori si inserisce umilmente Dante, al contempo orgoglioso e trepidante per l'avventura mistica che è chiamato a svolgere. Dante e Dio, dunque, si presentano come estremi diametralmente opposti: l'Uomo, il Finito, il limitato e Dio, l'infinito e l'illimitato. La dicotomia, struggente e possente nel canto iniziale e in quello conclusivo del Paradiso, viene così risolta: i due termini, solo apparentemente ossimorici, si incontrano nelle ultime terzine. La costante presenza del legame spirituale assurge, nella conclusione, ad un incontro fisico, per quanto si possa disquisire di fisicità in tal contesto. Proprio sul leitmotiv dell'intimo rapporto che s'instaura fra Finito ed Infinito s’impernia la suggestione del Paradiso. Penetrando sempre più con lo sguardo nella luce, Dante scorge tutto l'Universo, tutti i suoi elementi costitutivi uniti unanimi in Dio e con Dio divenire una sola cosa: ciò che discende da Dio, quindi, trova armonia ed unità solo in seno al suo Creatore. Figura simbolo del binomio Finito-Infinito è certamente Cristo: la sua duplice Natura, umana e divina plasma ed interseca l'Uomo e la Divinità. Analogamente a Cristo, si presenta come emblema dell'apparente contrapposizione tra limitato- illimitato, vincolo-Assoluto, anche la Vergine Madre, anello di congiunzione tra il sommo Creatore e le sue creature? Mentre Cristo rappresenta la dualità tra umano e divino, la Vergine allegorizza la simbiotica comunione tra Fattore e fattura. La doppia natura materiale e immateriale sembra costante in questi canti, come dimostra ulteriormente il topos della luce. Niente più di essa esprime anche in campo fisico la dualità tra materia ed energia, tra materiale ed immateriale; esclusivamente grazie alla luce, unica parte visibile e percepibile dell'Ineffabile per eccedenza, Dante sublima la sua anima in un percorso catartico; solo volgendo lo sguardo nel bagliore Divino, l'Uomo si accorge di non smarrire le proprie facoltà intellettive nello splendore d’intensità, bensì, al contrario, raggiunge la via da seguire. È questa l’intima accezione semantica del verso 70 “trasumanar significar per verba”, incastonato nel Canto Primo del Paradiso. L’oltrepassare i limiti della natura umana, i confini della ragione per immergersi nel candore Divino.