Camorra, clan Mazzarella più potente nel Lazio e in Sardegna: la relazione Dia
Il clan Mazzarella rappresenta, in questo momento, la cosca camorristica più potente della città di Napoli. Quella che più degli altri negli ultimi anni ha saputo diffondersi sul territorio nazionale creando alleanze importanti e spostando i suoi interessi nel Lazio e in Sardegna. E’ quanto emerge dalla relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia depositata la scorsa settimana in Parlamento e che rappresenta uno spaccato allarmante dei casi di infiltrazione della criminalità organizzata in tutta Italia.
“Nel Lazio sono state, infatti, nel tempo registrate consolidate presenze di camorra, di ‘ndrangheta e di Cosa nostra, che mantengono i legami con il territorio d’origine e che, allo stesso tempo, agiscono relazionandosi tra di loro e con le organizzazioni criminali autoctone804. Un rapporto cementato-si legge nella relazione- da accordi finalizzati alla spartizione degli affari criminali più redditizi. Un territorio complesso, in cui si è assistito alla formazione di una sorta di “tavolo permanente” tra le mafie, unico nel suo genere, dove si incontrerebbero gli appartenenti di vertice delle diverse compagini, in una tipologia di aggregazione criminale non riscontrata in altre parti d’Italia.
Le motivazioni di tale forma di compresenza, tendenzialmente pacifica, sono da ricercare nella differenziazione delle attività delinquenziali cui si dedicano le varie consorterie e nella complessità del territorio e del tessuto economico che permettono la coesistenza dei vari interessi. Non va sottaciuta, peraltro, l’ormai piena consapevolezza, maturata nell’ambito delle consorterie più strutturate, che la migliore strategia per portare a compimento i propri interessi criminali sia quella di rendersi di fatto “invisibili”.
A fattor comune, le consorterie hanno quindi adottato metodi operativi che, pur tra loro differenti, si caratterizzano per il contenimento delle componenti violente che hanno ceduto il passo alla ricerca di proficue relazioni di scambio e di collusione, finalizzate ad infiltrare il territorio ricercando e perseguendo le più variegate modalità di arricchimento.
D’altronde, nel tempo, le mafie cosiddette “tradizionali” hanno sintetizzato il proprio potenziale criminale coinvolgendo ed integrando l’ampio bacino della “malavita romana” con le reti di corruzione che attraversano obliquamente diversi segmenti del tessuto socio-economico romano.
Di questo complesso “laboratorio criminale”, Roma rappresenta il centro nevralgico intorno al quale gravitano interessi, decisioni e forme autoctone di coordinamento tra i multipli flussi di criminalità organizzata. Si tratta di un “sistema mafioso” che attraverso una strategia di sommersione ha progressivamente infiltrato attività imprenditoriali – apparentemente legali – operanti in molteplici campi.
Si assiste, quindi, a modalità operative che hanno lentamente abdicato al controllo del territorio in senso stretto – e cioè inteso come spazio fisico – per aggredire uno spazio più propriamente economico-finanziario. E’ altrettanto chiaro, tuttavia, che queste dinamiche non siano frutto dell’improvvisazione ma di una progressiva integrazione, resa possibile da una coesistenza ultradecennale delle varie forme di criminalità, tutte orientate all’esigenza, sempre più sentita, di individuare nuovi e remunerativi obiettivi economici da aggredire.
Appaiono significativi anche gli esiti dell’operazione “Terza età” conclusa il 3 luglio 2018 dalla Guardia di finanza di Roma, che ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 9 appartenenti ad un’associazione per delinquere dedita all’usura, all’estorsione, all’esercizio abusivo dell’attività finanziaria, nonché alla truffa aggravata ai danni dello Stato, all’autoriciclaggio ed al trasferimento fraudolento di beni.
Al vertice della sodalizio criminale figuravano 2 pregiudicati napoletani, padre e figlio, trasferitisi a San Cesareo (RM), collegati con un affiliato al clan MAZZARELLA e imparentati con una donna, reclusa a Rebibbia, già a capo di un autonomo gruppo criminale di Portici (NA), federato al clan VOLLARO, egemone in quel comune.
Il sodalizio, grazie alla disponibilità di ingenti capitali, aveva prestato denaro ad imprenditori in difficoltà eco- nomiche con l’applicazione di tassi usurari oscillanti tra il 90% ed il 180% annuo (con punte del 570%) e il frequente ricorso a violenze o minacce per ottenerne la restituzione. I proventi delle attività delittuose venivano reinvestiti in vari settori in provincia e all’estero, tra cui anche strutture per anziani.
Per quel che riguarda la Sardegna invecesi segnala l’ operazione del 19 ottobre 2018, ha portato all’esecuzione, di un provvedimento cautelare nei confronti di sei soggetti, tra cui due commercianti napoletani trasferitisi a Porto Torres ed un pregiudicato considerato esponente di spicco di un’articolazione del clan MAZZARELLA, attiva nel quartiere Mercato di Napoli. L’operazione, denominata “Red Moon” (dal nome di un locale di Porto Torres (SS) in cui si erano verificati alcuni episodi che avevano fatto emergere contrasti e scontri per il controllo del mercato della droga a Sassari e nella sua provincia) ha evidenziato come lo stupefacente fornito dal pregiudicato legato ai MAZZARELLA, venisse spedito dal capoluogo partenopeo in Sardegna da un altro indagato napoletano, mediante pacchi postali che giungevano a Sassari all’indirizzo di una insospettabile sessantenne sarda. I pacchi contenenti la cocaina, venivano ritirati da altri complici locali che ne curavano lo smistamento.
Nella regione si conferma, inoltre, la tendenza della criminalità comune alla coltivazione di piante di cannabis. In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, è stato rappresentato come la realizzazione di vaste pianta- gioni di marjuana costituisca un fenomeno diffuso in Sardegna, facilitato dalla vocazione agricolo-imprenditoriale del territorio isolano e dagli interessi specifici della criminalità locale.